Mario Testino e il suo nuovo Beautiful World 

Mario Testino e il suo nuovo Beautiful World 

Roma è da sempre una città speciale per il grande fotografo. Non sorprende la sua scelta di presentare le mostre più significative  partendo dalla Città Eterna 

1.Di un grande fotografo di moda amato dallo star system 

Il nome non deve trarre in inganno. Mario Testino ha certo origini italiane ma è a tutti gli effetti cittadino peruviano. Dopo l’adolescenza, a Lima studiò economia e legge senza crederci troppo. Trasferitosi in California, tentò di appassionarsi agli studi di politica internazionale ma la sua vocazione la scoprì a Londra nel 1976 frequentando una scuola privata di fotografia. In seguito,  dopo alcuni anni di pratica professionale venne a contatto con le riviste che possono cambiare la vita di un fotografo. Ma quando pubblicò la sua prima foto su Vogue (ed.inglese) nel 1981, nessuno poteva prevedere che dopo un duro lavoro decennale, all’inizio degli anni 90, l’autore di quello scatto sommerso dalla debordante ricchezza di immagini della rivista, pubblicato e impaginato frettolosamente, si sarebbe imposto come uno dei più ricercati e raffinati fotografi di moda del pianeta. Trussardi, Versace, Saint Laurent e soprattutto Gucci diedero al talentuoso fotografo, nei primi anni novanta, la possibilità di esplorare da protagonista l’immaginario della moda, trasformandolo velocemente in un autore corteggiato dalle più importanti riviste al mondo: Vogue, Vanity Fair, W Magazine, The Face, Visionaire, solo per citarne alcune, pubblicarono regolarmente le sue campagne che esaltavano un’idea di bellezza assoluta spesso incline a deviare verso controllate provocazioni. Grazie ai suoi prestigiosi clienti e a budget di spesa che gli permettevano di arruolare le più belle modelle/i in circolazione, Mario Testino affinò il suo modo di creare immagini mitiche, capaci di aggiungere un’energia emozionale importante ai prodotti moda da promuovere. Non è esagerato sostenere che il successo di Mario Testino nella moda debba essere ripartito, in parti di volta in volta diverse, tra la sua sensibilità estetica e la capacità di interpretare la funzione di image maker per i marchi o prodotti coinvolti nel suo lavoro. Insieme a Maisel probabilmente è stato il costruttore di immagini per il sistema moda più efficace, dalla metà degli anni novanta alla prima decade del terzo millennio. Con questa differenza: entrambi i grandi fotografi amano e quindi capiscono le pulsioni profonde della moda; ma mentre Maisel pur con surreali fughe umoristiche indubbiamente alla fine ci crede senza cedimenti, l’approccio di Mario Testino sembra più ironico o forse più pensoso, come se il non credere fino in fondo nei valori comunicati dalle immagini magnificative della moda facesse parte di un gioco più grande che potremmo definire “Trovare il proprio stile autoriale e le deviazioni compatibili”: nella moda avere troppo stile fashion spesso può essere un problema; piuttosto che una rigida coerenza promette più efficacia una coerente fluidità. Non è un caso dunque, se i primo libri pubblicati da Mario Testino credo confermino questa mia lettura. Il primo, Any Objections, pubblicato da Phaidon nel 1998, propose immagini che trascendevano la teatralizzazione che in un modo o nell’altro caratterizza quasi tutte le foto di moda. In questi scatti tratti dall’esperienza di luoghi diversi sparsi per il mondo il fotografo mostrava un controllo del mezzo fotografico che gli permetteva di cogliere aspetti della realtà non visualizzabili attraverso le tecniche che permettevano la costruzione delle foto/icone fashion. Anche nel suo secondo libro, questa volta dedicato all’esplorazione della moda da un punto di vista personale e innovativo, Front Row/Back Stage (Bulfinh, 1999), il fotografo fa convivere perfettamente il punto di vista dell’image maker e l’irriverente sguardo analitico del reporter che dall’interno dei luoghi privilegiati della moda ci introduce ai piccoli segreti del backstage o semplicemente del mondo fashion dietro le quinte. Di passaggio segnalo che le foto così diverse da quelle che normalmente ci riportano gli esiti delle sfilate, in particolare quelle degli show di McQueen, Yamamoto e Galliano pubblicate nel libro, a mio avviso sono di valore assoluto, e basterebbero da sole a giustificare la presenza di Mario Testino in alcuni dei musei più importanti al mondo (molte sue immagini sono oggi conservate al Victoria & Albert Museum di Londra e al Carper Center of Visual Arts di Harvard). Oltre a dedicarsi alla moda Mario Testino, seguendo un percorso di affinamento stilistico presente fin dalle origini della foto di moda cioè dagli scatti di  Steichen, Hoyningen-Hune, Horst,,, è divenuto uno dei ritrattisti più ricercati dallo star system internazionale. D’altra parte una foto di moda standard non assomiglia forse a un ritratto? Certo! quasi sempre è l’abito del modello/a ad essere focalizzato. Ma nel corso del tempo ha prevalso tra i grandi image maker la sfida per realizzare l’integrazione tra look e carattere, personalità, espressività del soggetto rappresentato. Perché? Io credo che, nei giochi di manipolazione necessari alla moda per espandere il proprio potere, abbia prevalso l’idea che, a livello di fruizione,  l’illusione percettiva che consente l’emersione della perfetta sincronia tra abito e stati dell’essere si sia rivelata più efficace rispetto alle pose formali e all’ostentazione delle apparenze.  L’integrazione di look-corpo-momenti dell’esserci (che alludono a stati interiori) produce empatia tra i fruitori e il soggetto della foto; l’empatia lascia immaginare un coinvolgimento dall’interno di chi si trova ingaggiato dall’immagine. Non a caso oggi si straparla di abito come una seconda pelle che classifica la prima, quella biologica per intenderci, ovvero la sublima attraverso simulacri di identità che i grandi fotografi riescono ad avvicinare all’esperienza visiva di una interiorità strettamente connessa all’idea di uno stile individuale. Per la sensibilità contemporanea, sempre più spesso ci è dato osservare che un ritratto efficace trascende forma e contenuti per planare su una dimensione che sfugge alle chiare classificazioni linguistiche per risolversi in fluttuanti gradation emotive.

Mario Testino – Myanmar, 2018

A tal riguardo, per ritornare a Mario Testino, meritano di essere citati i suoi ritratti della principessa Diana, raccolti in un libro pubblicato nel 1997 e un successivo  testo dedicato alla rassegna degli scatti dedicati ad una delle sue muse preferite: Kate Moss, che per personalità, fotogenia, intelligenza è forse la modella che meglio ha saputo valorizzare le idee creative sulla femminilità del fotografo.

Naturalmente, raggiunta la fama internazionale, la qualità delle sue immagini unitamente alla notorietà donategli dalla moda lo resero un fotografo corteggiato dai più importanti curator di grandi eventi espositivi. Le mostre dedicate a presentare le sue opere sono state infatti numerosissime. C’è da aggiungere che, stampate in grande formato e con particolare cura, le foto per la moda, trasfigurate in oggetti artistici di primo livello esibivano una maestria spettacolare che incantava ogni tipo di pubblico. Come esempio, posso citarne una delle più rilevanti mostre organizzata  a Roma nel 2011, intitolata “Todo o Nada”, che, dal punto di vista della significazione olistica,  a mio avviso ha rappresentato il tentativo di Mario Testino di far riflettere il pubblico che ama la moda, sulle conseguenze della strategia dell’abbellimento del corpo ottenuta con abiti magnificanti. Per dirla con le parole del fotografo che mi permetto di parafrasare, la sequenza di grandi e bellissime fotografie scelte dal suo imponente archivio per quella mostra, sarebbero uno studio sulle implicazioni implicite nell’atto di  vestirsi/svestirsi: osservare le stesse modelle immortalate in abiti bellissimi e poi, a seconda dei casi, più o meno déshabillé, modelle magnificamente abbigliate e poi nude, secondo l’autore doveva indurre un insight di pensiero che l’abito di moda nasconde…Non notate, sembrerebbe suggerirci il fotografo, come in realtà il fascino e la femminilità dei soggetti non cambi? Come a dire, ci sono donne per le quali l’essere vestite o svestite non fa differenza dal momento che sembrerebbero possedere una perfezione fisica e una bellezza interiore che sovrasta la costruzione della femminilità ottenuta con il linguaggio degli abiti. Qualcosa del genere lo aveva a suo tempo proposto Helmut Newton in molte sue mostre, nelle quali esponeva  in parallelo grandi immagini di modelle vestite in pose classiche, che di colpo apparivano nude nella foto a fianco, immortalate nella stesso movimento o postura. Per quanto mi riguarda non nutro nessun dubbio sul fatto che le modelle più belle del mondo risulterebbero estremamente femminili anche se fossero immortalate da una lastra ai raggi x. In definitiva i fondamenti della bellezza, per certi aspetti, hanno una relazione con proporzioni matematiche, con fatali simmetrie che ci annebbiano il cervello. Ma c’è una bella differenza tra la perdita progressiva di significazioni rilevabile nelle stasi che seguono le fasi progressive dell’atto di svestirsi e la pienezza di significato (per il desiderio di essere Donna) presupposta dall’ostentazione delle zone erogene di superfice, innaturali ovviamente, che possiamo considerare come una delle pulsioni fondamentali sulle quali si regge un aspetto rilevante del potere della moda; aspetto non rimovibile. Voglio dire che, a parte il preciso momento in cui tolgo un velo, ciò che del corpo dopo l’atto rimane visibile subisce una rapida catastrofe del desiderio. L’abito magnificante invece feticizza il desiderio rendendo costante l’eccitamento (o per chi preferisce il linguaggio della metafisica, l’abito mantiene il soggetto in gioco avvolto da un’aura di sensuale bellezza). Comunque sia il vostro punto di vista su queste questioni, è improbabile che le immagini della stessa modella vestita, prima, e poi priva di ornamenti, esprima le stesse significazioni. Se veramente il tema trasversale della mostra Todo o nada , come sosteneva gran parte della pubblicistica che promosse quella mostra, è la visione unaria di Mario Testino, centrata sulla cattura attraverso il mezzo fotografico della fragile struttura visuale che crea una sostanziale conformità tra corpo vestito e svestito, allora non mi resta che prenderne atto, marcando però il fatto che quelle immagini dicevano ben altro. Io credo piuttosto che quelle foto parlassero della abissale differenza tra corpo vestito e svestito. Mi rendo conto che per la sensibilità attuale l’abito stravagante, la teatralità delle pose, troppo abusate dalla moda, possano risultare scontate; e che, per contro, il déshabillé, ci suggerisca la leggerezza e forse un’umanità che un certo modo di configurare la moda ha perduto. In definitiva da Vivienne Westwood in poi, ciò che era sotto lo si è visto sopra; l’intimo più fetish non scandalizza più nessuno e persino il nudo viene ormai vissuto come fosse un abito fatto con la nostra pelle. Ma tuttavia quelle foto di Testino mi dicevano che la differenza tra la rappresentazione del corpo della moda e lo stesso colto in momenti che lo naturalizzano, rimane intatta. Ed è sul mantenimento di questa dialettica differenza che, a mio avviso, si gioca il futuro della moda. Comunque la pensiate dicevo, la mostra Todo o nada, mostrava con evidenza la propensione di Mario Testino nell’utilizzare l’evento espositivo per dare una certa profondità agli esiti del suo lavoro, sino a quel momento considerato da molti critici autoriale ma anche sostanzialmente tutto superficie, come la moda, del resto.

Mario Testino
Mario Testino – Children of the Karr, Dum Omo Valley, Etiopia 2019
  1. Di un nuovo tipo di bellezza

Ho divagato nei dintorni di una vecchia mostra di Mario Testino perché il suo ricordo mi ha permesso pochi mesi or sono, di osservare la recente esposizione degli ultimi lavori del fotografo intitolata A Beatiful World, (Roma, Palazzo Bonaparte, 25 maggio- 25 agosto 2024), da una angolazione diversa rispetto ai contenuti che la promuovevano. La mostra presentava una serie di ritratti che raffiguravano personaggi esotici di una trentina di paesi che esibivano identità culturali tradizionali alternative rispetto alle apparenze occidentalizzanti diffuse dalla globalizzazione. Gli abiti che indossavano i soggetti, dal punto di vista percettivo, risultavano dominanti nella specificazione dell’identità e testimoniavano l’interesse e la volontà dell’autore di strappare dal probabile oblio strutture delle apparenze in procinto di dissolversi, sovrastate dalla inarrestabile e veloce contaminazione delle mode occidentali, abilissime nell’appropriarsi dei segni di una tradizione vestimentaria per piegarli alle proprie direttive estetiche e produttive.

I commenti giornalistici sullo stile delle foto della mostra “Beautiful World” hanno ripetutamente sottolineato un allontanamento di Mario Testino dalla fotografia di moda. Per contro, io sostengo invece che  molti  degli stilemi della foto di moda, soprattutto quelli che a me sembrano maggiormente contaminati  dal confronto con la grande tradizione ritrattistica dell’arte pittorica. sono decisivi per l’emersione della convincente e stabile bellezza di quelle opere. La precisione, il controllo dello spazio, della luce, una certa freddezza diffusa nell’espressione dei volti evocatrice di profondità spirituale, che ritrovo nella ritrattistica fiamminga da Van Eyck a Van Dyke ma soprattutto nei quadri di Holbein il giovane, sono stilemi che hanno somiglianza di famiglia con quelli utilizzati da Mario Testino per valorizzare un messaggio che immagino funzionasse da collante cognitivo  delle  70 opere esposte, messaggio che linearizzo  ruvidamente con queste parole: “guarda  l’eleganza, la bellezza del look di questi soggetti esotici…non provi ammirazione e stupore per il loro fascino?”. 

Mario Testino
Mario Testino – Three Women of the Thari, Pakistan 2024

Osservate con attenzione le foto delle donne del Myanmar e quella in intitolata Three Women of the Thari. Anche se in prima battuta il nostro occhio sembra catturato dal volto e dagli occhi, sappiamo benissimo che con rapidi movimenti saccadici lo sguardo esplorerà rapidamente l’intero campo visivo alla ricerca di altri punti di interesse. La severa, fredda, drammatica espressività dei soggetti favorisce il glissement dell’attenzione sulle aree più estese del campo dell’immagine, aree percettivamente pregnanti per via della inusuale ricchezza decorativa. Il risultato di questo processo che ciascuno di noi esperimenta nell’immediatezza è l’emersione di un pattern dominante la visione che corrisponde al costume del soggetto. L’identità che si fa abito, dunque, e l’abito tradizionale che diviene un nuovo tipo di bellezza, sembra suggerire Mario Testino. Possiamo considerare queste immagini come un oltrepassamento dei confini della foto di moda? Mario Testino sta negando lo stile fotografico che lo ha reso famoso? A tal riguardo ho ragionevoli dubbi. In realtà a chi agisce nel campo della modazione oggi, sembrano interessare la costruzione di immaginari fluidi, che implicano stilizzazioni sottoposte a stressanti derive. Come ho già detto, l’efficacia nella foto di moda stride con uno stile troppo rigido (caratterizzato dalla ripetizione degli elementi strutturali dell’immagine rispetto alla deriva di variazioni che si presentano come novità). Ma è pur vero che dalla generazione di Steichen, Hoyningen-Huene, Horst, Blumenfeld,  tantissimi grandi fotografi hanno cercato ispirazione neil’arte del ritratto della pittura occidentale, per ancorare ciò che chiamiamo stile a valori visivi riconosciuti per la loro profondità storica. Avere stile significa essere degli autori e/o dei creativi di primo livello; per contro, l’abilità nel stilizzare apparenze a seconda delle tendenze estetiche del momento, sembrerebbe presupporre soprattutto solide competenze professionali. La moda utilizza regolarmente sia la ricerca del grande stile autoriale e sia la fluida contaminazione estetica che io preferisco ancorare alla “stilizzazione”. La scelta dell’una piuttosto che dell’altra dipende dalle tattiche del momento. Ma si può dire che la stilizzazione cioè l’adeguamento ad una sorta di codice, è statisticamente dominante (implica meno rischi).

Fatta questa premessa e tornando a riflettere sul nuovo corso di Mario Testino direi che l’autore, utilizzando come ho già detto, stilemi percettivamente e cognitivamente che mi riconducono alla mia personale esperienza dell’arte ritrattistica fiamminga (soprattutto a Holbein il giovane), avvicina la sensibilità  del fruitore a contenuti visivi alternativi alle nostre tradizioni vestimentarie stimolando un sentimento di stupore reverente per il soggetto esotico rappresentato.  Il flusso emotivo che rapidamente mette in parallelo bellezza-stupore-reverenza produce un bias positivo (in relazione alle nostre assunzioni o aspettative)  che ci sintonizza  con l’immagine  “dell’altro”, nel senso che la diversità dei costumi che identificano un popolo perde i caratteri di negatività radicale per assumere quelli della diversificazione, variazione nella quale troviamo il rumore di fondo di una umanità che ci rende tutti simili

Mario Testino- Myanmar, 2018

Ebbene, Mario Testino ha presentato queste fotografie come momentum di una esplorazione della bellezza che lo proietta aldilà degli stilemi della foto di moda, dei quali, per decenni, è stato magistrale interprete. Dal punto di vista dei “contenuti”, la narrazione sul significato del suo nuovo personale paradigma estetico ha certamente le sue buone ragioni. Siamo attratti dalla bellezza delle sue immagini e sappiamo bene che il riconoscimento di queste qualità produce sensibili mutamenti interiori che investono il soggetto delle immagini (il costume, soprattutto). Proprio questo sembra l’obiettivo del fotografo: renderci sensibili di quanto possa essere bello e buono qualcosa che ha una storia, un passato, una tradizione.

Tuttavia, per dirla utilizzando una coppia di concetti classici, se prendiamo in considerazione non solo il contenuto delle sue immagini ma la forma grazie alla quale gli effetti sulla nostra sensibilità diventano percettivamente performanti, allora le sue foto rientrano perfettamente nella dialettica tra stile e stilizzazione che abbiamo visto caratterizzare la foto di moda come “genere aperto” (aperto a contaminazioni con altri generi, ovviamente). Mario Testino con A Beautiful World non nega la sua esperienza come fotografo di moda; piuttosto io direi che ha scelto provvisoriamente di allontanarsi dagli immaginari utilizzati dalla moda di oggi per diffondere il suo potere nel mondo, per dedicarsi all’affinamento  delle pratiche fotografiche che la moda da sempre utilizza per trasformare questo ineffabile potere in conoscenza e bellezza.

Lamberto Cantoni
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