Calcio, Politica e Potere: un intreccio mondiale spiegato alla perfezione

Calcio, Politica e Potere: un intreccio mondiale spiegato alla perfezione

ITALIA – In “Calcio, politica e potere”, Alessio Postiglione, racconta minuziosamente come e perché i Paesi e le potenze utilizzano uno sport popolare come il calcio per i propri interessi di natura geopolitica. Ecco la mia intervista all’autore.

“Calcio, politica e potere” di Alessio Postiglione esplora il complesso universo del calcio, evidenziando il suo intreccio con le relazioni internazionali e la politica globale. Questo sport si è trasformato in un attore chiave sulla scena geopolitica, fungendo da catalizzatore per la globalizzazione e le sue organizzazioni agiscono come autentiche entità para-diplomatiche.

Il calcio, come mezzo di soft power, offre a Stati e persino a nazioni prive di un riconoscimento statale, la possibilità di diffondere identità, forza, valori e ideologie, galvanizzando il consenso popolare all’interno dei propri confini. Il libro esamina il doppio ruolo del calcio: da un lato, come strumento di nazionalizzazione delle masse, percepito come elemento fondante della Nazione; dall’altro, come mezzo contemporaneo per la proiezione geopolitica delle grandi potenze.

Cover Calcio, politica e potere

L’intento dell’opera è divulgare come e perché i Paesi e le grandi potenze sfruttino lo sport più amato al mondo per i loro scopi strategici. Attraverso il calcio, possiamo decifrare il presente, ricordare eventi storici e acquisire una maggiore comprensione delle dinamiche future nelle relazioni internazionali.

Il libro dedica particolare attenzione a casi emblematici che rivelano questo legame, analizzando come le principali potenze, dall’Ucraina al Qatar, dalla Cina agli Stati Uniti, utilizzino il calcio come strumento di soft power per promuovere le proprie agende. Ho avuto l’opportunità di intervistare Alessio Postiglione, di seguito il risultato.

L’intervista ad Alessio Postiglione

“Calcio, politica e potere” è un lavoro davvero completo e ben esposto, ne ha curato ogni minuzioso aspetto. Tra studio, elaborazione e stesura, quanto tempo le ha richiesto?

Abbiamo lavorato alacremente in tre, in effetti: il sottoscritto si è avvalso della collaborazione insostituibile di Valerio Mancini e Narcís Pallarès-Domènech, entrambi analisti in campo geopolitico e geoeconomico. Il lavoro è durato all’incirca un anno. Ma avevamo già le idee chiare. Soprattutto, condividevamo un approccio: si scrive molto di sport, anche di sport diplomacy e di economia legata al calcio. Questo libro doveva essere il primo a spiegare come e perché il calcio è un dominio geopolitico, partendo da un’analisi storica, antropologica e sociologica, che ne rivelava il ruolo simbolico già nei processi di nation-building.

Un approccio che ci ha portato a inquadrare il calcio, parafrasando una celebre definizione di un grande sociologo, Emile Durkheim, come “fatto sociale totale”. Che insieme all’altra nostra ridefinizione della massima di Von Clausewitz, “il calcio come continuazione della politica con altri mezzi”, sono le due vere e proprie direttrici di ricerca che hanno attraversato il libro. Anzi, i libri: visto che si tratta di un lavoro che ci ha condotto a tre edizioni. “Calcio e geopolitica”, nel 2021; vincitore della menzione speciale al 56esimo Festival letterario e giornalistico del Coni; “Calcio, politica e potere”, nel 2023, recante uno speciale approfondimento sui Paesi del Golfo, a commento dei Mondiali in Qatar.

Entrambi questi libri sono usciti  Edizioni Mondo Nuovo. Infine, è appena uscito in spagnolo e catalano, per la casa editrice spagnola Altamarea, “El gran juego. Un análisis geopolítico del fútbol contemporáneo”, che ha riattualizzato la seconda edizione, con un ulteriore focus sulla Spagna..

Alessio Postiglione Rete 4

Dati gli infiniti esempi e spunti riflessivi che il suo libro offre, potrebbe descrivere un ipotetico scenario futuristico del calcio nei prossimi 50 anni? 

Le previsioni sono fatte per essere smentite. In generale, i processi di concentrazione economica che guidano il calcio ci condurranno anche in questo campo verso il modello di superleghe, di proprietà dei club, in modo non dissimile da quello che succede nello sport professionistico americano o, in Inghilterra, con la Premier. Si amplierà la forchetta fra le squadre-brand e deterritorializzate, non espressione più di un campanile, e capaci di fare le globetrotter per acquistare nuovi fan-clienti in Cina, Stati Uniti, arabosfera, etc.

Parallelamente a questo calcio-spettacolo, resisteranno delle squadre locali che corrispondono al bisogno di identificarsi con i riti tradizionali del calcio e l’attaccamento al territorio. Si va verso un calcio a doppia appartenenza. Con il tifoso, per esempio, abruzzese, che tifa Barcellona nelle competizioni globali e L’Aquila nelle leghe locali. In generale, ci sarà un’esplosione del calcio femminile. Anche il modello di Sport corporation, con conglomerati internazionali che detengono più squadre di calcio sparse per il mondo, ma anche di basket, baseball, etc., che è poi la strategia del City Group del Manchester City, è destinata al successo.

Potremmo, infine, assistere anche a meccanismi di personalizzazione del brand: come è successo già alla Juve, con Cristiano Ronaldo, capace di portare alla Vecchia Signora una dote di fan/follower indipendente dal tifo verso la squadra.

Nel suo libro cita in maniera approfondita il Paris Saint Germain. Parlando di calcio, con l’arrivo di Luis Enrique e l’addio di Neymar, Messi e quello più fresco di Mbappe, la politica sembra essere ora quella di puntare su giovani prospetti più che su campioni affermati come invece avvenuto in passato, crede che il modello del club di Al-Khelaifi stia cambiando? Oppure è il calcio che sta cambiando?

Io credo che il PSG stia cambiando perché si sta adattando alla vera sfida, per loro, che è quella che l’Arabia Saudita ha lanciato loro nel calcio. Il Qatar ha suggellato il suo nuovo standing diplomatico, raggiunto con gli accordi di Doha, attraverso i quali gli USA hanno lasciato a questo piccolo Stato il compito di gestire l’Afghanistan post Taliban, proiettandosi geopoliticamente nel calcio con due operazioni. Prima con le squadre di club – che doveva essere la strategia propedeutica a – infine con l’organizzazione dei Mondiali in casa.

Alla fine, hanno vinto la seconda sfida, non centrando adeguatamente la prima, visto che il PSG non ha vinto come speravano. Consideriamo che i mondiali per loro sono stati un’apoteosi perché chiunque avesse vinto la finale era “roba loro”, visto che sia Messi che Mbappe erano del PSG. Ora, è entrata in campo l’Arabia Saudita, competitor geopolitico regionale e globale di Doha. E nel calcio ha spostato l’asticella in su: dotarsi di un campionato che è una vera e propria Superleague, trasmesso in tutto il mondo. Rispetto a questa sfida, che fare, per il Qatar? Ecco, penso che le nuove scelte di club siano legate all’esigenza di capire come si devono confrontare adesso.

Se dovesse scegliere una brevissima frase per descrivere il suo libro al pubblico di MyWhere, quale sarebbe?

Dal Donbass alla Transnistria, dal Mar Cinese meridionale all’Abcazia, regioni lontane eppure che impattano sulla nostra vita di tutti i giorni – perché questa è la visione geopolitica -, competono nel calcio. Il calcio dunque è più di un gioco. Per scoprire come e perché, leggeteci!

Alessio Postiglione

In “Calcio e Geopolitica” analizza con cura davvero molti esempi di potenze economiche e politiche nel calcio, quale tra tutti i modelli da lei esposti è quello che più la “affascina” ? 

Più che fare il tifo per i modelli degli altri, fare il tifo per noi: dico che la vecchia Europa ha inventato il calcio, detiene i brand più appetibili, ma rischia di diventare periferica, rispetto alle grandi manovre di americani, cinesi, arabi, etc. E’ verso un modello europeo che dobbiamo spingere. Soprattutto considerando che l’Inghilterra gioca una partita a sé, come insegna la Brexit, e i suoi successi non sono estendibili all’Europa.

Cosa manca alla Serie A per raggiungere un livello di potenza economica tale da provare quantomeno a competere con la Premier League su tutti i fronti?

I problemi della Serie A sono quelli dell’Italia, e della scarsa ricettività nel nostro Paese degli investimenti esteri. Fra le cause, la burocrazia, la giustizia lenta, la difficoltà a fare operazioni immobiliare, associate al calcio. Ristrutturare uno stadio, protetto dalla sovrintendenza, è difficilissimo. Costruirne di nuovi, di proprietà dei club, significa scontrarsi con consigli comunali, piani regolatori, etc. Abbiamo casi di corruzione in questo ambito in Italia che dimostrano sempre la presenza di difficoltà burocratiche. A ciò si aggiunge un problema di cultura amministrativa e legalità. I grandi capitali internazionali sono interessati al nostro calcio. Ma chi non vuole problemi, preferisce investire altrove. E non solo nel calcio.

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Stefano Gentili

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